La parola critica deriva dal greco Krino cioè giudico.
Criticare un pensiero, un’azione, un comportamento può rivelarsi spesso una sana occasione per migliorarlo.
La città è un insieme di migliaia di pensieri, azioni e comportamenti quotidiani.
Credere che tutti questi pensieri, azioni e comportamenti siano non meritevoli di critica significa veramente essere staccati dalla realtà.
La critica se finalizzata
al miglioramento è gustosa, preziosa, direi, fondamentale.
Se mio figlio inizia a fumare, mi sento in dovere di criticarlo. Per farlo smettere.
Se mio figlio dice parolacce, mi sento in dovere di criticarlo. Per farlo smettere.
Mio figlio, presto o tardi, mi ringrazierà di quella critica.
Se mio figlio, invece, decide – ad esempio – di tagliarsi i capelli a zero pur sapendo che io avrei gradito il taglio lungo, ed io inizio a criticarlo, a tirare in ballo altri suoi comportamenti a mio avviso negativi, buttarla sul personale etc., state certi che mio figlio nella migliore ipotesi si raderà i capelli a zero nella peggiore inizierà a odiarmi o, comunque, ad ignorarmi.
Quando la critica nasce per il bene di colui che la riceve, non fa male. Può dare fastidio. Ma non fa male.
Quando la critica, invece, nasce per mettersi in mostra, per creare fastidio, per creare stupido sospetto, in casi più gravi per infangare, per far male, allora lì la critica non è più critica ma è acredine, è rancore, è spazzatura verbale.
Una vera e sana critica è oggi davvero rara.
Lo è con gli amici (perché temiamo di perdere l’amico se lo critichiamo), lo è in famiglia (per quieto vivere), lo è sul lavoro (per non farci nemici) e lo è nelle relazioni sociali quale è la gestione di una comunità.
Molti di quelli che invocano il diritto di critica in realtà invocano il diritto di usare la critica per un proprio tornaconto.
C’è chi critica perché vorrebbe che le cose andassero male per dire che aveva ragione.
C’è chi critica perché è stato pagato.
C’è chi critica perché non sa proporre.
C’è chi critica perché non ti sopporta.
C’è chi critica perché vorrebbe stare al posto tuo.
C’è chi critica perché è schiavo del suo personaggio.
C’è chi critica perché è abituato ad infangare gli altri.
C’è chi critica perché non gli sei simpatico.
C’è chi critica perché le cose non sono andate come voleva.
C’è chi critica perché vuole ricattarti o spaventarti.
C’è chi critica perché è frustrato.
C’è chi critica perché vorrebbe essere considerato.
C’è chi critica perché non riflette.
C’è chi critica perché è semplicemente stupido.
Ecco, davanti a questo genere di critiche pure se rivolte a nostro figlio, dobbiamo aspettarci che possa avere una reazione non serena.
Pertanto, mettere tutti questi insani comportamenti sotto l’unico ombrello della critica, invocandone il diritto ad esprimerla, non solo è sbagliato ma è, alla lunga, deleterio.
Induce in errore, in confusione chi ascolta e chi legge.
E in quest’epoca di comunicazione così fitta e veloce legittimare (o ridimensionare) questi comportamenti negativi è l’unico modo per non prestare un utile contributo alla comunità.
Benvenga la critica ma davanti all’acredine bisogna ribellarsi o almeno riflettere.
Perché Tizio fa questa critica?
Perché ha un interesse? Perché è pagato? Perché è semplicemente cattivo? Perché è stupido?
Dalle risposte che ci diamo si capiscono parecchie cose.
Se continuiamo, invece, a legittimare l’acredine diffusa – girando le spalle davanti a questi comportamenti o addirittura sotto sotto goderne – diventiamo un popolo di sadici.
E una città abitata da sadici è destinata a morire divorata da se stessa.
Armando Corsini