Sarà il mio un estremo e sicuramente vano sforzo di vestire i panni del “perfetto impertinente” dell’eccitante, sorprendente, ineguagliabile Oscar Wilde o semplicemente di appagare la mia fame di provocazione, sta di fatto che prendo a prestito la canzone di Marisa Laurito “Il babà è una cosa seria”, per una serie di modeste considerazioni sugli amanti, affezionati, fan della democrazia. La vulcanica commediante, al grido “dissacratorio con garbo”, della sua orecchiabile e simpatica ode al babà, ne elogiava le qualità antistress contro le fatiche, problemi, inconvenienti personali e della realtà esterna. E come darle torto, il babà napoletano è emblema di bontà e semplicità, che nasconde sotto una superficie scura, un cuore tenero e delicato, che fa dell’equilibrio la sua caratteristica peculiare. Il suo segreto è la consistenza, frutto della pazienza richiesta dalle tre lievitazioni della ricetta classica, che, unita all’inebriante aroma di rum, incanta le papille gustative e poi va dritta al cuore. A questo punto mi e vi domando:” Cosa c’è di più serio e salutare del babà? Poche cose e tra queste certamente la glorificata, ed esaltata democrazia. So, e per questo chiedo venia, che l’accostamento è poco felice, perché la democrazia costata il sangue ai nostri avi, è cosa assai seria e perciò merita rispetto, tutela sempre e in ogni luogo. Eppure, con enorme rammarico, noto che oggi se ne fa un uso così sconsiderato che quasi-quasi son tentato di credere che molti ritengano più serio il babà. Per dirla con parole semplici, offende e indebolisce la democrazia non solo chi limita la libertà e l’uguaglianza di ognuno di noi, ma anche quanti si nascondono dietro la sua veste candida solo ed esclusivamente per il proprio tornaconto, chi la grida o osanna ad arte ogni qualvolta è a rischio la sua posizione acquisita, colui che dice tutto quello che gli passa per la testa senza minimamente prestare le sue orecchie, chi, a prescindere. in suo nome boccia ogni atto solo perché proviene da Tizio o da Caio e non è confacente ai suoi interessi o alla sua posizione di potere. Non fanno un favore alla democrazia e all’Italia, per dirla nuda e cruda, quanti avversano senza nemmeno leggere o approfondire le sue proposte e s’alleano anche col diavolo (a proposito, parafrasando Wilde, lo scandalo non è nei miei occhi quando la sinistra radicale e i democristiani della prima ora fanno fronte comune) pur di impedire il presunto tentativo del premier di instaurare una dittatura o una democrazia bloccata nel nostro paese. Io su quest’aspetto sono sereno: Renzi è un soggetto assai ambizioso, scaltro, distante anni luce dalla mia idea di società ma un vero democratico. Ed aggiungo: il quesito referendario è a dir poco ambiguo e dispersivo, troppe materie su questioni di enorme rilevanza politica e costituzionale, ma io voto SI. La riforma di Renzi è frettolosa e alcuni aspetti necessitano di chiarimenti, ma contiene timidi passi verso una democrazia moderna con meno parlamentari, processo legislativo più celere e coinvolgimento delle autonomie locali nelle decisioni. Altro soggetto considerato di indole fascio-comunista è il sindaco di Marcianise, Antonello Velardi, eletto a giugno con una coalizione di centro sinistra. Al giornalista de “Il Mattino”, si imputano atteggiamenti autoritari, scarsa o pressoché nulla collegialità nelle scelte politiche-amministrative, pochissima considerazione del Consiglio comunale, eccessiva autoreferenzialità a discapito di una giunta volutamente “timida”, cinismo smisurato. Come per Renzi anche per Velardi cercherò di essere estremamente netto e limpido, perché nell’attuale contesto storico la politica di chi cammina strisciando i muri per non farsi vedere, è terminata da un bel po’: il sindaco sta cercando di spazzare via la logica di “una mano lava l’altra e tutte e due lavano il viso” ”; in città c’è un nuovo fermento, voglia di fare, di partecipare al progresso socio-culturale della comunità; dopo decenni di buio è rispuntata la speranza di risvegliare nei cittadini il senso di appartenenza ad una comunità, il rispetto per la cosa pubblica e ridare a Marcianise il ruolo che merita in ambito provinciale e regionale per le sue straordinarie risorse e potenzialità. Velardi ha saputo far leva sull’orgoglio cittadino, e nello stesso tempo, con determinazione ha messo mano ad una riorganizzazione della macchina amministrativa che ha già dato alcuni frutti: ha gestito bene l’ordinario (verde pubblico, circolazione stradale, sistemazione del cimitero) che a Marcianise, dopo anni di inefficienze e ritardi equivale a straordinario, ed ora ha iniziato ad occuparsi dei grandi temi, in primis l’interporto, anche se al sottoscritto poco aggrada l’equazione grandi temi= grandi opere. Evitare a diverse centinaia di studenti di studiare su fotocopie o prendendo in prestito i libri dagli amici per difficoltà economiche, grazie al recupero dei fondi per i buoni libro, per me ha un valore pari se non superiore alla realizzazione di una qualsiasi infrastruttura. Il suo dinamismo, inevitabilmente, ha rotto le uova nel paniere di alcuni che avevano l’interesse ad una città immobile in cui campavano di rendita, e dunque non gli restava altro che additarlo come una sorta di ducetto manovrato dai poteri forti. Questa “resistenza” ad un processo di cambiamento di cui tireremo le somme compiutamente tra alcuni mesi, però, spiega solo in parte le ragioni del presunto autoritarismo e anaffettività del sindaco. E sì caro sindaco anche lei, come qualsiasi comune mortale, ha le sue pecche e mi assumo l’arduo compito di ilustrargliele : terminata la fase di destrutturazione del sistema politico locale, sarebbe ora di porre definitivamente fine a certi eccessi verbali o paradossi ( scelga lei il termine che più le piace) con particolare riferimento a pene capitali che a me fanno rizzare i capelli; tra i filosofi che ho studiato al liceo non avevo particolare simpatia per il dualismo bene- male o meglio Amore-Odio di Empedocle come le grandi forze cosmiche su quali si regge il mondo manifestato, ragion per cui trovo spesso la sua distinzione tra buoni e cattivi un tantino riduttiva; deve coinvolgere di più il consiglio comunale nelle scelte amministrative magari, così come ha fatto il suo collega De Magistris, delegando un suo assessore ai rapporti col consiglio comunale; per assicurare una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita amministrativa e recuperare tanti giovani validi candidati con l’una e l’altra parte alle scorse elezioni, potrebbe istituire una seri di consulte comunali su materie di interesse collettivo; al suo posto prenderei in considerazione l’idea di accogliere un accettabile numero di immigrati sul nostro territorio, una volta valutati accuratamente tutti i parametri di sostenibilità sociale. A differenza di Renzi e Velardi, chi non necessita di alcun test sulla sua affidabilità democratica, anzi a mio modesto parere, potrebbe dar lezione di democrazia è il sindaco di Capodrise, Angelo Crescente. Mentre i partiti di sinistra inscenano la solita e masochista commedia delle “Trenta belle e brave principesse per un solo scettro” nel corso delle ultime amministrative, è riuscito a portare una contendente eretica, di inossidabile fede post-acomunista sotto il vessillo della sua alleanza de gasperiana (come lui stesso ha sottolineato in un comunicato indirizzato al senatore Franco Mirabelli ) e a rivincere le elezioni. A Crescente non interessa il potere solo ed esclusivamente per sé, è sempre ben lieto di condividerlo. Che dire? Un convinto, puro democratico. Siccome per tutti, me per primo, gli anni incalzano e i ricordi s’affievoliscono, ritengo opportuna una buona lettura del discorso di Pericle agli Ateniesi per rinfrescarci il concetto di democrazia: “Qui ad Atene noi facciamo così.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri,chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così”.