A MARCIANISE E CAPODRISE: LA POLITICA È MORTA E SEPOLTA 

L’impasse politico scaturito dall’esito elettorale del 15 maggio scorso, con il sindaco di uno schieramento variegato e la maggioranza all’altra compagine altrettanto eterogenea, a causa di uno storico voto disgiunto intorno al 6%, suggeriva un’attenta analisi del dato elettorale e un accordo tra le parti sulle priorità della città che poggiasse su due scelte inevitabilmente condivise: la formazione della giunta e la presidenza del consiglio comunale. 

Nulla di tutto ciò è accaduto: sia all’interno della maggioranza che dell’opposizione si è fatto finta di nulla, nessuno ha ritenuto necessaria una riflessione sui risultati elettorali. È stato più comodo o facile, scegliete voi l’appellativo che più vi aggrada, attribuire ai fisiologici tradimenti elettorali l’enorme travaso di voti dall’uno all’altro candidato sindaco o il drastico ridimensionamento in termini di rappresentanza di alcuni leader storici, invece di indagare sulle reali motivazioni.

Per quanto concerne le scelte istituzionali, il passaggio di qualche consigliere comunale tra le file della maggioranza ed uno sgambetto all’interno dell’opposizione, hanno consentito al sindaco di varare una giunta non di tecnici bipartisan,  ma con esponenti direttamente o indirettamente riconducibili alla sua parte politica e di eleggere un presidente del consiglio comunale tra i suoi consiglieri.

Cosa ha determinato tutto questo? Premesso che è ancora presto per sentenziare sull’operato del sindaco e della giunta, possiamo permetterci qualche impressione a seguito dei comportamenti assunti dai consiglieri nel civico consesso e sulla stampa.   Al momento, la classe politica locale, nella sua quasi totalità, manca di una visione complessiva della città, sembra del tutto incapace di fotografare l’esistente  e di proiettare Marcianise nel futuro sotto il profilo urbanistico, economico e dei servizi.  In particolare, i partiti e gruppi politici esistenti hanno abbandonato l’attività politica,  buona parte della maggioranza consiliare sembra badare esclusivamente al proprio orticello elettorale e a meglio posizionarsi in vista delle prossime regionali, mentre l’opposizione è non classificata. A criticare ed avversare Trombetta & Co. è rimasto sui social solo qualche esponente di sinistra che, stando alle mie informazioni, non ricopre alcun ruolo politico.  Il sindaco, dal canto suo, cerca di tenere le redini, ma l’impressione è che prende un’anguilla e ne scivola via un’altra. Il suo ruolo è certamente delicato perché deve programmare, operare e mediare continuamente tra i suoi, ma al di là dei buoni propositi, ha la necessità di accreditarsi come leader, altrimenti rischia  di darla vinta per l’ennesima volta alla maledizione popolare che vuole tutti i sindaci di nome Antonio destinati a fallire. Se Atene piange, Sparta non ride. A Capodrise, che ha vissuto un glorioso passato politico dove il personalismo faceva fatica ad attecchire e spesso ha rappresentato un laboratorio per l’intera provincia di Caserta,   è accaduto qualcosa che definire folle, equivale a usare un convenevole eufemismo. Un’amministrazione va a casa e 10 mila capodrisani dovranno sciropparsi una gestione commissariale sino alla primavera dell’anno prossimo perché un assessore non aveva più il supporto della maggioranza del suo gruppo consiliare d’appartenenza. Ammesso e non concesso che l’assessore sia il migliore al mondo, lo dico senza ironia perché non ho tutti gli elementi per un giudizio complessivo , anche se a malincuore, non era forse preferibile sostituirlo  e nominare qualcuno di fiducia del sindaco, che avrebbe portato avanti il suo lavoro, invece di mandare tutto all’aria? A  noi miseri mortali o non è dato saper più di tanto oppure non ci siamo ancora attrezzati bene per svelare l’arcano. Resta il dispiacere per un’intera comunità che dovrà rassegnarsi all’ordinaria amministrazione mentre già scalpitano i vecchi stalloni e i nuovi puledri per la corsa all’ambita fascia tricolore. Quanto si sta verificando nei due comuni vicini dovrebbe indurre almeno gli uomini di buona volontà a fare politica tutto l’anno, a setacciare bene i nomi da inserire nelle liste,  a creare coalizioni il più omogenee possibili, ad ascoltare la propria base elettorale e un po’ di consapevolezza dei propri limiti non guasterebbe.