E’ un tema che da diversi anni stuzzica la mia curiosità perché abbraccia diverse discipline o ambiti (religione, storia, letteratura), investe la persona nella sua dimensione più intima ed ha importantissimi risvolti in ambito sociale. Innanzitutto occorre chiarire che cosa intende la religione cattolica per celibato. All’anagrafe e nel linguaggio comune per celibe si intende chi non è sposato, mentre nel significato cattolico il concetto di “celibato” è strettamente legato a quello di “castità”. Per dirla con parole semplici il celibe, in senso comune, non ha contratto matrimonio però può avere rapporti sessuali con chi vuole, frequentare e innamorarsi, invece il prete deve vivere nella castità totale, cioè non solo astenersi da qualsiasi rapporto sessuale, ma anche avere un cuore puro, un cuore libero anche affettivamente, perché è consacrato al Signore. Per violare il celibato, dunque, basta semplicemente che un prete scambi delle carezze o baci con un potenziale partner. A questo punto sorge spontaneo chiedersi:” Chi ha istituito il celibato per i preti e per quale motivo”? Trattandosi di una questione assai dibattuta e per alcuni aspetti controversa, tra le diverse fonti che ho reperito mi affido a Wikipedia che è la più conosciuta e diffusa :”Secondo alcune interpretazioni, il celibato è una conseguenza legittima della prospettiva evangelica, ma su celibato e continenza i Vangeli non si esprimono in maniera inequivocabile. Matteo evangelista scrive (Matteo 19,29): “… Chiunque abbia lasciato in mio nome case o fratelli, sorelle, padre, madre, figli o campi, otterrà cento volte di più e la vita eterna”. Molto simile è anche Marco 10,29: “In verità, vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia che non riceva cento volte tanto…”. Ancora più preciso è Luca 18, 29-30: “In verità, io vi dico: chiunque abbia abbandonato per il Regno di Dio casa o moglie, fratelli, genitori o figli, riceverà già ora in cambio molto di più e, nel mondo futuro, la vita eterna”. Dette citazioni danno adito a varie interpretazioni. È oggetto di discussione il presunto celibato di Gesù, sarebbe alquanto strano, in effetti, se non lo fosse stato dato la sua condizione di rabbino ebreo per il quale -secondo la tradizione- il celibato sarebbe stato al minimo disonorevole. D’altronde non vi sono citazioni certe circa una moglie di Gesù e la sua presunta unione con Maria Maddalena trova pochi o nulli sostegni storici. Alcuni tra gli apostoli erano sicuramente sposati o lo erano stati prima di conoscere Gesù (ad esempio San Pietro, di cui si nomina la suocera), San Paolo elogiò sia il matrimonio sia il celibato, ma invitò i fedeli a essere, come lui stesso, celibi per svolgere la missione: «Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere» (7,8-9). Nella stessa lettera pronunciò il seguente appello: «Perché io vi dico, fratelli: il tempo è breve. Per questo, chi ha una moglie deve in futuro comportarsi come se non ne avesse una…». E ancora: «Il celibe si preoccupa delle questioni del Signore; vuole piacere al Signore. L’ammogliato si preoccupa delle cose del mondo; vuole piacere a sua moglie. Così finisce per essere diviso in due» (7,29-32). Con queste parole San Paolo si rivolgeva in primo luogo a vescovi e sacerdoti ed egli stesso si sarebbe attenuto a questo ideale. In altre lettere richiese che i vescovi fossero sposati con una sola moglie e con figli ubbidienti: «Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare […] Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?» (1 Timoteo 3,2-5)”. Da quanto sopra riportato, quindi, non esiste nelle sacre scritture un chiaro, esplicito riferimento al celibato dei preti. Addirittura qualche altra fonte si spinge ad ipotizzare che sia stata la volontà dell’uomo a stabilire il celibato dei preti. Secondo www.sapere.it : “La tradizione cattolica fa risalire l’ideale del celibato come forma di piena dedizione al servizio divino a un passo del Vangelo di Matteo (19,12): “… ci sono di quelli che si son fatti eunuchi da sé in vista del regno dei cieli. Chi può comprendere, comprenda”. Alle origini, e fino al 300 ca., non esiste nessun tipo di legislazione che imponga il celibato; nel sec. IV il Concilio di Elvira, in Spagna (ca. 306), proibì il matrimonio ai vescovi e ai sacerdoti: tuttavia, il Concilio di Nicea del 325 non volle stabilire una rigida legge sul celibato dei sacerdoti. In seguito, sulla scia di Ambrogio, e anche per influenza di correnti ascetico-monastiche, si sviluppò l’idea che il sacerdote, che amministrava il corpo e il sangue di Cristo, non potesse avere contatti con una donna, anche se si trattasse della sua legittima consorte”. A questo punto, mettete a confronto le tesi appena fornite con quelle ricavate da altre vostre ricerche e traetene le vostre legittime considerazioni. A noi, ora, interessa esaminare l’altro quesito:” Il celibato obbligatorio è strettamente connesso alla pedofilia? In altri termini, se ai preti fosse consentito di sposarsi, calerebbero i casi di pedofilia nella Chiesa? Senza scomodare gli esperti di psicologia, riportiamo una serie di dati riguardanti i casi di abusi sui minori compiuti da parte dei preti e ancora un volta tra le diverse fonti consultate, ricorriamo a Wikipedia: “Nel 2004 la conferenza episcopale statunitense commissionò uno studio dettagliato al John Jay College of Criminal Justice della City University of New York (che è riconosciuta come la più autorevole istituzione accademica degli Stati Uniti in materia di criminologia)[25]. (John Jay Report[26]) sul fenomeno. Il John Jay College ha potuto convalidare 6700 accuse contro 4392 sacerdoti e diaconi in carica negli Stati Uniti dal 1950 al 2002, circa il 4% di tutti i 109694 sacerdoti che hanno prestato servizio durante il periodo coperto dallo studio. Le accuse di crimini a sfondo sessuale con minori sono state molte di più, 10667, ma quelle ritenute credibili solo 6700 che hanno appunto riguardato il 4% dei presbiteri. Dei 4392 accusati, 1021 (24%) sono stati segnalati alla polizia, 384 processati, 252 (6%) condannati e più di 100 (2%) hanno ricevuto pene detentive. Il che significa che le condanne penali definitive di preti pedofili negli Stati Uniti sono state, nel periodo 1950-2002, poco più di UNA all’anno. I dati dello studio, opportunamente filtrati in modo da garantire l’anonimato di vittime e accusati, provenivano direttamente dagli archivi diocesani in cui sono presenti schede personali su ogni sacerdote accusato di abusi sessuali e su ogni vittima che ha denunciato. Secondo il rapporto, i processi civili svoltisi hanno incriminato 252 chierici (0,23% del totale) per abusi su minori di 18 anni. Un supplemento della ricerca del 2006 ha indicato un totale di 358 persone incriminate (0,33% del totale)”. Venendo ai giorni nostri, infine, nel dicembre del 2014, è stato pubblicato il report sottoscritto dal Consiglio per la verità, la giustizia e la guarigione (qui il Pdf) composto dagli arcivescovi delle cinque più importanti diocesi australiane (Melbourne, Brisbane, Perth, Canberra e Adelaide), da cui si evince che delle oltre 1.600 vittime ascoltate il 60% ha dichiarato di aver subito molestie in ambienti religiosi (nel 68% dei casi erano “luoghi” cattolici) quando aveva tra i 9 e i 10 anni. Alla base del rapporto, due anni di documentazione che ha portato le alte gerarchie ecclesiastiche ad ascoltare oltre 50 testimonianze e analizzare 160mila documenti di organizzazioni clericali “per guidare l’agenda che porterà a rivedere il modo in cui la Chiesa deve rispondere e trattare la pedofilia”. In particolare, nel report si parla di “assunzione di responsabilità della Chiesa per gli abusi avvenuti in passato; di un’adeguata e continua formazione psico-sessuale ai preti e ai religiosi in genere, proprio per evitare il ripetersi di molestie sessuali”; infine, di uno sforzo maggiore sulla trasparenza, magari facendo rapporti pubblici sulle scelte che le istituzioni cattoliche stanno compiendo per rendere sicuri questi luoghi da episodi di pedofilia.
A voi le conclusioni.