Confronto a distanza tra Velardi e Ventrone sul ruolo della scuola nell’educazione dei ragazzi

Ecco i due interventi :” LA SCUOLA E’ FINITA? Da qualche giorno, l’esercito dei tuttologi della rete locale è stato dirottato su questioni pedagogiche e sociologiche, accendendo i riflettori di una comunità su quanto tutti gli operatori scolastici conoscono benissimo da tempo: la crisi delle agenzie educative nella società odierna.
Il sindaco Antonello Velardi, così come qualche suo collega, ha subìto attacchi offensivi e caricaturali per essersi assunto la responsabilità di non emettere ordinanza di chiusura scuola su allerta meteo. Dinanzi alla valanga di insulti ed alla collettiva reazione di indignazione, ha citato le due principali agenzie formative – famiglia e scuola- soffermandosi (“sulla famiglia non è questa la sede per discutere, sulla scuola avrei tanto da dire”) sui limiti della seconda, e tralasciando riflessioni su quella che è e resterà sempre la prima agenzia formativa, cioè la famiglia, nonchè sulle responsabilità delle Istituzioni tutte, non sempre raccordate ed integrate.
Ancora oggi qualcuno crede che il ruolo educativo sia, in toto, in delega alla scuola e pretende sempre più, in un clima di abdicazione generale, che sia la scuola ad insegnare il senso civico e la corretta capacità di relazionarsi agli altri. Si invocano interventi sanzionatori verso gli alunni, legittimi, che sono già all’ordine del giorno nel rispetto dei vari regolamenti di istituto, e che incontrano puntualmente approcci genitoriali difensivi, protettivi e giustificazionisti, anche di fronte ad evidenze conclamate.
La scuola è finita? No, la scuola è spesso sola; lo è sempre di più, a dispetto delle sbandierate interazioni scuola-famiglia-territorio.
E i giovani? I dirigenti e i professori non confondono affatto il luogo per eccellenza della trasmissione del sapere con un “furgone di lavoratori in nero che vanno a raccogliere i pomodori”, con tutto il rispetto per i medesimi.
Nella complessità della nostra società, alle giovani identità disorientate e per lo più viziate, tendenti ad una omologazione acritica e a problematicità di disagio, travolte dalla profonda crisi della famiglia contemporanea e bersagliati, attraverso i media, da una pioggia di falsi valori e da messaggi spesso negativi- veicolati con lo stesso narcisismo, la medesima ineducazione e violenza comunicativa che poi rischiano di far propri – si deve poter proporre a solido riferimento una concreta sinergia tra le varie agenzie educative che, anziché scaricarsi le responsabilità l’un l’altra, siano capaci sinergicamente di offrire modelli sociali positivi, valori guida educativi, idee certe sul futuro, e siano in grado di gestire i difficili passaggi generazionali.
Solidarietà a chi, in rappresentanza delle Istituzioni, viene deriso e vilipeso. Ma altrettanta solidarietà, e non superficiale disprezzo, è dovuta all’universo di donne e uomini, docenti e dirigenti, che, con scarse risorse e in strutture inadeguate, operano coraggiosamente e quotidianamente all’interno di un sistema che non riconosce appieno ruoli, autorevolezze, riconoscimenti che siano appena in linea con i minimi standard europei; un sistema, tra l’altro, regolamentato da una delle peggiori riforme scolastiche mai partorite (la nefasta “buona scuola”, da smantellare pezzo per pezzo). Rispetto è dovuto, in primis, alla maggioranza degli operatori che, ancora animati da senso del dovere e di responsabilità, dalla dedizione verso la propria professione e i propri alunni, svolgono quotidianamente e spesso in solitudine, credendoci ancora fermamente, la meravigliosa missione di formatori di soggetti unici e irripetibili, a cui fornire apprendimenti privilegiati e strumenti necessari per costruire la propria personalità e per orientarsi con autonomia e competenze nella complessità della vita.
La società e la politica giustamente interrogano e sollecitano la scuola ad elaborare risposte più adeguate; ma è anche vero che le stesse debbano essere da esempio alle nuove generazioni e riuscire a supportare la scuola affinchè possa essere percepita appieno come il principale fattore di mutamento sociale e di crescita collettiva.

consigliere comunale Carmela Ventrone

 

+++ A PROPOSITO DELLA SCUOLA +++

I numerosi commenti offensivi scritti da altrettanti numerosi studenti in calce al mio post che annunciava per oggi la regolare apertura delle scuole a Marcianise, nonostante le previsioni meteorologiche avverse, hanno provocato un dibattito che mi ha colpito molto e che mi induce ad intervenire.

Intanto ringrazio tutti coloro che hanno stigmatizzato i toni di quei commenti; come pure ringrazio chi ha voluto avviare una discussione che a questo punto si sta rivelando molto interessante. E di ciò sono particolarmente contento, come ho spiegato in un mio intervento stamattina a Radio Martealla trasmissione di Gianni Simioli: non tutti i mali vengono per nuocere, gli insulti gratuiti sono serviti a ridestare coscienze sopite.

Che cosa c’è da dire? Una cosa molto semplice. La chiusura delle scuole è un atto eccezionale, di fronte ad impedimenti eccezionali. Chiudere una scuola significa, a Marcianise come altrove, trasmettere agli studenti il messaggio che di fronte ad un ostacolo conviene fermarsi perché c’è sempre qualcuno che verrà a risolvertelo. Significa confondere le idee su quali sono i diritti e quali sono i doveri, significa comunicare ad un giovane – che per definizione è l’unico davvero in grado di cambiare il mondo, ben più dei bambini e degli anziani – che non deve impegnarsi per cambiare ma deve aspettare così come ha aspettato finora all’interno di un malinteso paternalismo che tanti guasti ha prodotto.

Chiudere le scuole significa trasmettere l’idea che un pubblico amministratore non si assume alcuna responsabilità ma le scarica sull’ultima ruota del carro, cioè sui soggetti fruitori di un servizio, cioè su ognuno di noi. Chiudere una scuola per una pioggia anche se violenta significa poter chiudere la farmacia, l’ospedale, la caserma dei carabinieri, la salumeria, gli uffici comunali. Che però tutti vogliono che non chiudano.

Le reazioni spropositate dei ragazzi al mio post sono il segno di un grave disagio che a questo punto non è più personale ma è collettivo. Dovrei denunciare tutti questi ragazzi che mi hanno offeso, ma non lo farò mai: vanno denunciati i loro genitori e i loro docenti. Perché questa vicenda segnala non solo il disagio di una generazione, ma il crollo clamoroso di due agenzie educative fondamentali come la famiglia e la scuola. Sulla famiglia non è questa la sede per discutere, sulla scuola avrei tanto da dire.

Evito di farlo, ma qualche concetto vorrei esprimerlo; partendo dal presupposto che ancora oggi io ho la massima venerazione dei miei professori, dalle elementari al liceo. E allora dico che non abbiamo bisogno di dirigenti e professori che oggi fanno la gara a chi ha più studenti confondendo un luogo della trasmissione del sapere con un furgone di lavoratori in nero che vanno a raccogliere i pomodori: più sono meglio è. No. Non abbiamo bisogno di dirigenti e professori che, su questa vicenda, non hanno avviato e mai avvieranno una ricerca seria dei loro ragazzi autori dei commenti offensivi per punirli e per dare loro elementi di comprensione in modo da non rifarlo in futuro. Non abbiamo bisogno di dirigenti e di professori che sperano in cuor loro che il sindaco chiuda le scuole perché hanno da fare a casa. Non abbiamo bisogno di dirigenti e professori che hanno trasformato la scuola in un luogo dove raggranellare qualche spicciolo in più infilandosi nei progetti che hanno come obiettivo solo quello di tenere le carte a posto. Non abbiamo bisogno di dirigenti e professori che si sono fatti coprire finora dai sindacati, un altro simbolo della furbizia dell’inefficienza soprattutto nella scuola.

No, noi abbiamo bisogno di altro. Lo auguro a tutti gli studenti, in primis a quegli studenti che mi hanno offeso con i loro commenti. Loro, più di tutti, hanno bisogno di professori veri. Auguro loro di poter trovare sulla loro strada non più burocrati senza motivazioni ma tanti Robin Williams e di vivere tante trame dell'”Attimo fuggente”. Di trovare in classe il loro capitano. Oh capitano, mio capitano.
#sognandounaltromondo

sindaco Antonello Velardi