“Diario di un sindaco”, l’analisi politica di Alberto Abbate e il commento di Antonello Velardi

Pubblico queste considerazioni, reputandole particolarmente utili e stimolanti al dibattito politico non solo locale.

albertoDIARIO DI UN SINDACO
Raccontano che una volta Aldo Moro si recò in visita alla moglie al mare, e la raggiunse sotto l’ombrellone vestito di tutto punto. Lei gli suggerì di mettersi comodo in calzoncini, e la buonanima replicò che lo Stato non poteva stare in mutande. La questione della piena coincidenza tra sfera istituzionale e sfera privata del personaggio pubblico da allora ha fatto molta strada. In tanti durante il craxismo, videro l’untuoso De Michelis dimenarsi nelle discoteche di Milano come un qualsiasi cacciatore di figa. In tanti assistettero alla feroce polemica sulla candidatura radicale alla Camera di Ilona Staller. La questione Staller (e con essa della separatezza delle sfere) fu perciò affrontata dalla buonanima di Eco in una famosa bustina di Minerva nella quale il semiologo osservò in sintesi che Cicciolina poteva tranquillamente continuare a distribuire le gioie del pollice opponibile, a condizione che, come deputata, fosse irreprensibile e soprattutto laboriosa.
Annalistica a parte, mi colpisce un aspetto particolare del diario di Antonello Velardi che investe per l’appunto il problema della separatezza delle sfere. Lo definirei come il diario privato di un uomo pubblico, ma tuttavia reso accessibile alla fruizione pubblica. Non vi è dubbio che l’aspetto cronachistico e pragmatico del ‘diario di un sindaco’ appartengano ad un amministratore, ma non è assolutamente negabile che le constatazioni e- soprattutto i giudizi- appartengano piuttosto ad un privato. Provo a spiegarmi meglio. Davanti alla legge chi parcheggia male è semplicemente un contravventore, come chi ruba una bicicletta è semplicemente un reo. L’elemento psicologico di chi compie l’illecito può essere-soprattutto nel secondo caso-preso in esame per aumentare o diminuire la pena. Ma una cosa è certa: in nessuna sentenza troverete scritto che un borseggiatore è una bestia, o che andrebbe messo al muro, o che chi insozza una villetta è uno stronzo. In nessuna sentenza e, aggiungo io, in nessun atto amministrativo. In altri termini il disvalore di una condotta viene punito, ma non ingiuriato dal diritto. L’operazione inversa appartiene invece necessariamente alla sfera del privato, libera e personalissima. Vi sfido a trovare un solo giudice che, qualora il figlio pestasse una merda di cane andando a scuola, ragionerebbe in base al diritto, quantificando mentalmente la pena applicabile alla fattispecie. Dirà piuttosto (tra sè e sè, e quindi nel suo privato), che quel grandissimo figlio di madre ignota che non ha rimosso la merda è ancora più cane del suo cane, e meriterebbe a suo volta il guinzaglio. Come si vede la differenza c’è, ed è di sostanza.
Perché dunque questo cortocircuito tra amministratore (necessariamente impersonale) e privato (spesso istintivo e talvolta giustizialista) nel diario di Antonello Velardi? Vero è che tale cortocircuito in politica non è affatto una novità, se si vuole pensare soltanto alla comunicazione della Lega oppure all’ormai famosa ‘offensività deluchiana’. Altrettanto vero è che questo cortocircuito si rivela spesso pagante in politica, (in termini di consenso, ed a patto di far fuori un paio un paio di categorie Kantiane): quindi può a pieno titolo considerarsi ‘strategico’. Se così fosse, un dato per me è certo: la strategia della ‘commistione pubblico/privato’ è pagante perché offre l’ovvio vantaggio di favorire un’immedesimazione tra cittadino ed amministratore, immedesimazione molto suggestiva. Si è detto che mai come in questo momento, complice il web, l’istituzione sia stata vicina alla collettività, e forse è vero. Ma quale meccanismo di immedesimazione prevale in questa strategia è difficile da dire. In altri termini bisogna domandarsi chi si avvicina di più a chi, e quindi chi somiglia più a chi. E’ la dimensione privata che si astrae e quindi si ‘collettivizza’ raggiungendo l’istituzione oppure è l’istituzione che, viceversa, imita strumentalmente comportamenti e reazioni del singolo, saltando così ogni schema formale di astrazione? Mi sembra appena il caso di dire che la prevalenza di un ipotesi o dell’altra determinino conseguenze sociali della massima importanza. La questione a questo punto prende solo di striscio il sindaco Velardi (al quale vanno i miei auguri veramente sentiti) per aprire su scenari più estesi.

Alberto Abbate

antonello-1-318x256Caro Alberto e cari amici, il post è di uno straordinario interesse. E molto interessanti sono anche i commenti. Non voglio apparire ed essere adulatore, ma non ho difficoltà ad affermare che molto raramente ho assistito ad una discussione così alta, così intelligente, e non solo su Fb ma anche su altre tribune che solitamente consideriamo più “impegnate”. Mi fa piacere fare qualche considerazione personale, con l’avvertenza che anch’io ho una posizione aperta sull’argomento affrontato da Alberto. E d’altro canto non potrebbe essere diversamente perché la materia trattata è, per sua natura, in progress. Parto da una premessa: non è detto che, nel mio diario quotidiano, io non sbagli; è molto probabile che talvolta ecceda, che talaltra sia offensivo. Non è detto cioè che ciò che io scrivo non sia spesso censurabile. I miei post sono comunque una sperimentazione e come tutte le sperimentazioni si prestano a critiche, a forti critiche (pensiamo alla sperimentazione nell’arte, e chi più di Alberto o di Raffaele Cutillo può dirlo?). Allora il punto è un altro: perché io ho deciso ad un certo punto di scrivere il Diario quotidiano? E perché il Diario è diventato (oltre che una grande fatica personale) per molti una sorta di appuntamento imperdibile? Ho deciso di cominciare a scrivere il post quotidiano quando mi sono posto il problema di continuare ad avere un rapporto diretto con la gente che mi aveva seguito in campagna elettorale e alla quale avevo promesso una riconsiderazione delle categorie della rappresentanza. Perché in fondo io questo avevo promesso e grazie a questa promessa avevo vinto le elezioni (ho un bacino elettorale personale di 45 voti al massimo, sono arrivato a 12mila per effetto della coalizione ma anche perché ho trasmesso un messaggio che è riuscito a bucare tutto il cartello formatosi contro di me. E tutto si può dire fuorché che il cartello non fosse formato da personaggi esperti a gran portatori di voti, ognuno per la propria parte). Ma ancor prima di candidarmi e quindi di vincere le elezioni, mi ero ben posto il problema di capire dove arrivare e perché incamminarmi lungo una strada che non era proprio quella mia naturale. Il punto da cui sono partito è stato questo: Marcianise ha bisogno di una scossa perché è ad un punto di svolta e ogni svolta comporta profondi mutamenti comportamentali. La svolta deve condurre ad una destrutturazione del sistema per arrivare – nel vuoto desolante della politica, caro Ho Ste – poi ad una ristrutturazione dello stesso, su nuove basi e in un nuovo contesto. Questo è il ragionamento che ho fatto. Mi sono detto che la sfida era questa: avere la capacità di far coesistere per un certo periodo la destrutturazione e la ristrutturazione e poi, in una fase successiva, far avanzare solo il progetto della ristrutturazione. In questa coesistenza c’è o ci può essere un cortocircuito, una contraddizione. C’è anche nel Diario che è in questo momento il mio contenitore per far coesistere questi due processi una volta paralleli e poi, progressivamente, non più allineati. Pensate per un attimo alla condizione in cui mi sono trovato quando ho partecipato al primo consiglio comunale che si è protratto oltre una certa ora: mentre il consiglio andava avanti stancamente ho cominciato a scrivere dal mio banco il diario serale criticando la vuota ritualità di un appuntamento che mi annoiava pur essendo uno strumento importante di esercizio della democrazia. Pensate a questa mia dualità, una novità assoluta. Ovviamente alla base di queste mie considerazioni c’era e c’è una lettura dei tempi nuovi e una riconsiderazione del rapporto tra i cittadini e le istituzioni, così come ricorda anche Tania Sassi. Come pure è vero che in questo mio diario quotidiano sono stato aiutato molto dal mio lavoro di comunicatore. Oltretutto, come ho spiegato a qualche collega sindaco che mi ha chiamato per avviare un’operazione analoga, un racconto quotidiano ha un senso se fatto in prima persona e con le emozioni del racconto in presa diretta; non può essere delegato ad un addetto stampa, ad un ghost writer o a chiunque altro perché se ne svilisce il senso. E’ quello che dirò ad un corso universitario cui sono stato invitato ad ottobre e che ruoterà proprio attorno a questa mia sperimentazione di comunicazione politica ed istituzionale. Mi fermo qui, ma mi piacerebbe continuare a discutere: spero che riusciremo a farlo, magari di persona. Ma mi piacerebbe anche che questo post e questo dibattito fosse uno stimolo per quegli esponenti politici di Marcianise che ancora oggi sembrano frastornati dalla mia azione, mostrando una evidente incapacità di lettura degli eventi e delle metodologie. Questo Diario ha anche l’obiettivo di innalzare l’asticella della discussione, di far crescere una nuova consapevolezza, di far percepire a segmenti sempre più ampi di classe politica che i tempi sono cambiati e che si impone una logica nuova. Appunto, l’obiettivo è contribuire ad una forte ristrutturazione dopo la destrutturazione. Da questo punto di vista – e di ciò sono orgoglioso come marcianisano – la nostra città è al centro di un processo molto interessante. Condivisibile o meno, ma certamente interessante e per niente banale (come sta avvenendo in altre città vicine e lontane, alcune anche molto più importanti di Marcianise). Grazie a tutti. Ad Alberto anche una preghiera: organizzi quanto prima un incontro tra di noi, allargato a tutti quelli che sono interessati.

                                      Antonello Velardi