La risposta di Velardi al mio intervento “Dobbiamo elevare il livello del dibattito politico locale

“Caro Michele, ho letto anche stavolta le tue considerazioni affidate a questo blog e, considerandole anche stavolta interessanti e stimolanti, ti chiedo la cortesia dell’ospitalità. Intanto condivido dalla prima all’ultima riga ciò che hai scritto a proposito della necessità di innalzare il livello del dibattito politico a Marcianise. Proprio perché lo condivido, devo segnalarti il rischio che si corre nel replicare: affidarsi a Lapalisse, e l’ho notato in alcuni commenti che sono già apparsi. Nel senso che tutti sono d’accordo con te quando invochi l’innalzamento del livello e il contestuale abbassamento dei toni, ma nessuno si pone neanche lontanamente il problema di capire perché si è giunti a questo punto e quindi chi potrebbe avere delle responsabilità. Proprio per questo, caro Michele, penso che il tuo appello cadrà nel vuoto: nessuno alla fine risponderà alla tua invocazione. E provo a spiegarw schematicamente ai nostri lettori il perché.
Il quadro politico di Marcianise, stratificatosi nel corso degli anni e completamente autoreferenziale pur nei cambi di persone e di dinamiche, è stato interessato negli ultimi mesi da un ciclone che non ha precedenti nella storia recente della città. Non che io voglia rivendicare il merito di questo ciclone: mi preme ricordarlo per ribadire come è nata la mia candidatura, come si è sviluppata la campagna elettorale e come si è estrinsecata successivamente l’attività amministrativa. Un ciclone era stato annunciato e un ciclone è stato. Quando ho usato lo slogan “Cambieremo tutto”, non pensavo certo a pendere in giro gli elettori per catturare il voto e poi lasciare tutto come prima: in questo, rivendico la mia coerenza prima, durante e dopo. Il proclama della rivoluzione dolce è stato avallato dagli elettori, tant’è vero che ho sfiorare l’elezione già al primo turno: in un meccanismo giuridico di delega, potremmo dire che la delega è stata certa, definita, con indicazioni temporali e spaziali. Gli elettori erano pronti, volevano ciò che io e la mia coalizione annunciavamo: se non l’avessero voluto, ci avrebbero voltato le spalle. E lo avrebbero fatto senza tentennamenti, anche perché non avevano nei nostri confronti alcun obbligo non avendo io alcuna capacità clientelare e non avendo io nel passato gestito alcuna cosa pubblica ma soltanto in privato il mio piccolo nucleo familiare. Qualcuno degli elettori ha addirittura tradito chi aveva dimostrato in passato di avere forza clientelare e che in quel momento si presentava dichiaratamente contro di me, dall’altra parte, nello schieramento opposto. Qualcuno, anzi più di qualcuno, ha ritenuto più conveniente per sé, per i propri figli, per la propria città non rispettare il vincolo del voto clientelare e quindi del do ut des ma affidarsi ad un uomo nuovo che prometteva un cambiamento radicale. Il corpo elettorale ha mostrato, secondo me, una straordinaria maturità, anzi una straordinaria modernità che è stata trasversale per fasce sociali e d’età.
Ciò premesso, che cosa ha determinato l’abbassamento del livello del dibattito politico? La maturità e la modernità. Quali? La maturità e la modernità che hanno dimostrato di non avere gli appartenenti al ceto politico cittadino, anzi ad un certo ceto politico, a quello che in campagna elettorale decise (legittimamente, per carità) di restare insieme in una logica che fosse di ancoraggio ad antiche e consunte pratiche. Ma anche la maturità e la modernità che dimostrarono di avere coloro i quali erano parte iniziale di quel ceto ma capirono intelligentemente che il futuro era altrove, che il futuro era appunto la modernità e si schierarono da subito con me, intraprendendo una nuova strada. Fu quello un atto di coraggio, un avviarsi verso l’ignoto da parte di chi aveva fino ad allora svolto attività politica con un altro cassetto degli attrezzi, utilizzando un’altra grammatica interpretativa e comunicativa. Quelli che allora dimostrarono coraggio si sono ritrovati ora avanti, molto più avanti di quelli che scelsero l’arcaismo politico e lì sono tuttora ancorati. Ecco il punto: loro ebbero il coraggio, questi altri no. E hanno dimostrato di non averlo neanche oggi, neanche quando sarebbe stato logico e naturale avviare una fase di nuova ricostruzione della città che nascesse per effetto di un processo di condivisione collettiva. Non hanno avuto coraggio perché la modernità è lontana dalle loro corde, dal loro sentire, dal loro essere. La trasposizione di questa mancanza, che è assolutamente invalidante per chi svolge una pubblica funzione e quindi deve interpretare i tempi, ci ha condotti all’oggi, al quadro desolante di oggi. La discussione politica si muove su livelli tra loro non in sintonia, ma distanti, diversi, lontani. Non c’è la proposta politica e la discussione attorno ad essa ma il rincorrere le voci, il bisbiglio, il venticello della calunnia. c’è il detto e il non detto, il capire e il non far capire, il ricorso alla denuncia come strumento di discussione politica, l’accusa dell’imbroglio permanente in una sorta di trasposizione psicologica. Di fronte a questa metodologia, che cosa ho fatto? Quando ho capito che essa partiva da lontano, quando ho capito che stava diventando il leit motiv già della campagna elettorale, quando ho capito che stava per essere riproposto per la mia persona il metodo dell’attacco personale e para-camorristco utilizzato già per Filippo Fecondo, ho deciso di reagire. Di non difendermi, ma di attaccare. Ho usato un registrato comunicativo nuovo e lì il vecchio ceto politico è crollato, in affanno, claudicante, disorientato. Un disorientamento che si porta appresso anche oggi, riproponendo vecchie pratiche. Anzi, vecchi slogan, vecchi documenti con anche gli stessi segni grafici: la dimostrazione di essere rimasti prigionieri di un unico arcaico schema.
Non è un bel quadro questo. Non aiuta la città e non aiuta neanche me, caro Michele: vorrei ben altri interlocutori e auspicherei ben altri metodi. Avere quest’opposizione non aiuta a crescere innanzitutto me. E il rammarico è che in questo grande cono d’ombra si è fatto risucchiare anche il Movimento Cinque Stelle, a corto di idee, incerto sulla metodologia, con un campo politico di riferimento già ampiamente presidiato, con tratti di anti-modernità che lo avvicinano molto di più al ceto politico della prima Repubblica peggiore e non a chi invoca la modernità come me. Cinque Stelle non aiuta il processo di modernizzazione del ceto politico, ne avalla la muffa perché non decide mai con chi stare davvero e come starci. Il suo essere pendolante, la sua condizione di altalena lenta, tarpa le ali a Cinque Stelle ma, soprattutto, non aiuta a fare chiarezza in prospettiva futura. La risposta, caro Michele, che ti ha dato il simpatico consigliere Pasquale Guerriero ne è una conferma. E come conferma ha lo stesso significato dell’incredibile silenzio di tutti gli altri protagonisti delle tue considerazioni: hanno preferito il silenzio, non hanno voluto rispondere ai tuoi quesiti. A proposito, resto personalmente sempre in attesa di sapere da questa opposizione che cosa pensa della camorra, dei clan, dell’esigenza di alzare barricate qui a Marcianise, delle ultime importanti operazioni di polizia. L’ho chiesto pubblicamente, nessuno mi ha calcolato. E’ un silenzio che pesa più di qualsiasi parola. In questo silenzio c’è in fondo la risposta a tutto: parlare ha un senso, alzare il livello del dibattito politico ha un senso, ma bisogna anche avere il senso di un ragionamento, l’interesse a parlare, a dire le parole giuste. E qui ci sono altri interessi, non quelli della discussione.
Grazie Michele per la consueta, cortese ospitalità. E scusami molto se ho abusato, sottraendoti tanto spazio. Chiedo scusa a te e ai lettori: spero di non aver tediato né te, né loro. Alla prossima.”
Antonello Velardi

Qui di seguito il mio intervento “Dobbiamo elevare il livello del dibattito politico locale”:  http://www.micheleraucci.it/2017/01/dobbiamo-elevare…-politico-locale/