IL VELODROMO E IL BUNGA BUNGA

Marcianise-Pubblico qui di seguito la riflessione su facebook di Alberto Abbate sul caso “Velodromo”, già alla ribalta della cronaca nazionale:

ALBERTO ABBATE“Non credo che lo sgombero del velodromo sarà cosa facile, e non vorrei trovarmi nei panni del legale incaricato a tanto. Di certo la procedura sarà più lunga di quanto sarebbe giusto, ma l’attuale stato del nostro diritto lo consente, e pertanto la foto della piscinetta campeggerà per qualche tempo ancora sul blog di Antonello Velardi. La ‘tribù caivanese’, per usare la colorita definizione velardiana, venderà cara la pelle, ed avrà dalla sua le due o tre inevitabili sentenze della Cassazione sullo ‘stato di necessità’, figuriamoci.

14100512_583354111836377_6704775220438809268_nLa ‘tribù caivanese’ però mi rimanda, non so perché, al termine ‘bunga bunga’, che invase il nostro lessico nel periodo dei berluscones, allorquando Il Cavaliere lo sdoganò come sigla delle sue prodezze sessuali. Come si può verificare, ‘bunga bunga’ in realtà non significa ‘fottere’ in dialetto africano, anzi non è nemmeno lingua africana. Raccontano tuttavia che fu Gheddafi a spiegare al Cavaliere che il bunga bunga era una prassi centroafricana. La cosa, secondo Gheddafi, avrebbe funzionato più o meno così: i membri (cacciatori, pastori etc.) di una tribù che sconfinavano nel territorio di un’altra tribù venivano catturati e per punizione sottoposti al ‘bunga bunga’ che sarebbe stato quindi una pena per lo sconfinamento, una sanzione sessuale tribale. In questa spassosa versione, si potrebbe affermare che le forche caudine furono un gigantesco bunga bunga per i romani, che in realtà dovettero piegarsi non solo simbolicamente, poveri loro, ma in concreto (ed assai dolorosamente, come potrà confermare quel fascistone del mio amico Salvatore Tartaglione). Giunti a questo punto, e per non farla lunga, ci si chiede il perché la tribù caivanese non abbia subito il bunga bunga al tempo debito (quello dello sconfinamento). Pierino Gentile -con buona ragione- sostiene che vorrà esserci al momento dello sgombero. Ma il problema vero è che, quando avvenne lo sconfinamento, non c’era nessuno a fare il bunga bunga agli sconfinanti. Più in generale ci si domanda oggi il perché lo sconfinatore nel bene pubblico non riceva di norma il ‘bunga bunga’ dal corpo sociale marcianisano. Il Sindaco se lo chiede spesso (e molto accoratamente), ed in un suo post di qualche decina di giorni fa ha girato la domanda all’ottimo Salvatore Delli Paoli, autore una impeccabile replica storiografica che non riesco più a ritrovare sul blog di Antonello. Di mio proporrei di restare al velodromo come tema di indagine, con buona pace della gens caivanensis. Azzardo una soluzione semplicistica ed Ipotizzo un caso-limite: il privato ‘xy’ installa un vivaio di trote nella fontana di Piazza Umberto I. In questo caso, essendo così forte l’identificazione (soprattutto simbolica) con il bene pubblico, la reazione collettiva sarà fortissima, e bisognerà mettersi in fila per fare il bunga bunga allo sconfinatore ‘xy’. Ipotizzo ora un caso intermedio: la piscina comunale. Lo sconfinatore ‘xy’ ha fottuto le casse comunali, abusando del bene pubblico, ed a quanto pare vorrebbe pure il resto (non so se abbia ad oggi rilasciato la struttura). In tal caso il bunga bunga diventerà più lieve, risolvendosi in un pure giusto sommovimento collettivo (comitati pro piscina et similia). Ipotizzo infine l’occupazione del velodromo. E chi dovrebbe fottersene? Il velodromo, lo sanno pure i posacenere, è la Cheope remota ed incompiuta di Vincenzo Capone, giudice di gare ciclistiche e grande estimatore della bicicletta. Il problema legalitario dello sconfinamento ci sta tutto, per l’amor del cielo. A me interessa però il problema politico. Domanda: cosa è accaduto in questo caso? E’ accaduto che la risorsa pubblica ‘velodromo’ ha scarsa attinenza col luogo e con la sua cultura. (Marcianise ha sempre sfornato ottimi pugili, ma non ricordo di alcuna ‘maglia rosa’).  Altra domanda: perché ciò è accaduto? Perché un amministratore-con le sue luci ed ombre- ha commesso un errore così dispendioso? Altra -e più importante-domanda: come ha funzionato a Marcianise, perché è di Marcianise che ci interessa, il sistema della rappresentanza democratica nel secondo dopoguerra? Altra domanda ancora: gli uomini nuovi, gli intellettuali che provenivano dai ceti meno abbienti (medici, professori, ingegneri) e che si proposero all’elettorato, quali limiti portarono con loro, quale visione? Essi furono i primi veri intermediari tra istanza collettiva e risorsa pubblica, e spesso sbagliarono di brutto, con buona o cattiva intenzione.  Ai miei tempi si definivano ‘corachiatti’ e mio padre fu accusato di farne parte. Essi adagiarono sul nostro territorio, a loro libito, la loro personalissima idea della modernità. Gli effetti tristi e macroscopici di alcune di queste scelte sono oggi sotto i nostri occhi. E purtroppo questa non è solo storia, dal momento che tale “penultima” versione di amministratori, di riffa o di raffa, ci comanda ancora”.